July 25, 2025 129

Vedere la luce sotto la sabbia.Tra neutralità terapeutica e amore che cura

Mi sono chiesta spesso se per poter davvero aiutare chi ho di fronte debba, in qualche modo, provare “affetto".
Non nel senso affettivo o fusionale del termine. Ma nel senso di uno sguardo che riconosce.
Uno sguardo che – anche quando tutto appare confuso, sabbioso, indurito – sa intravedere una luce viva, un nucleo integro che aspetta solo di essere liberato.

Nella formazione clinica ci viene insegnato il valore della neutralità: esserci senza invischiarci, accompagnare senza proiettare. E ne riconosco l’importanza.

Nel mio modo di lavorare, ho capito man mano e continuo a percepire sempre di più qualcosa di diverso, a guidare davvero la relazione terapeutica:

una fiducia profonda nell’altro, anche quando lui o lei non riesce più a crederci.
una forma di amore che non salva, ma sostiene.

“Voler bene”, in questo contesto, significa scegliere di vedere la persona prima del problema, la possibilità prima del blocco.
Significa tenere viva dentro di sé la visione del potenziale, anche quando l’altro è immerso nella vergogna, nel dolore, nel dubbio, nello sconforto, nel percepire solo un gran vuoto.
È come se, per un tratto di strada, io tenessi tra le mani la fiaccola della loro fiducia, finché non saranno pronti a riprendersela.

Questo non vuol dire dimenticare i confini professionali, ovviamente.
È proprio questa forma di amore sobrio, silenzioso, ma presente, a dare spessore etico e umano alla relazione terapeutica.
Non correggo ma voglio accompagnare chi ho di fronte a liberare ciò che è già vivo sotto la superficie.

Certo, a volte è più difficile cogliere quella luce. A volte una nebbia fitta avvolge loro, me e la seduta.
Ma in quei momenti mi ricordo che la mia presenza non è solo tecnica. È presenza credente.
Credente nel senso di chi non si arrende a ciò che appare.
Credente nel fatto che ogni anima, anche la più ferita, ha una forma segreta di bellezza che può ancora emergere.

E allora sì, credo che “voler bene” – nel senso più ampio, generativo e umano del termine – sia non solo possibile, ma necessario per aiutare davvero.
Perché è in quello sguardo, caldo e vigile insieme, che comincia il cambiamento.
Lì dove qualcuno ti vede prima della tua ferita.